La Macchina del Tempo [di Andrea Bianco] | ||
| Si trattava di riflettere, di ragionarci ancora un po’ su, con più calma, più voglia ed anche più tempo a disposizione; tempo, certo..Eccola di nuovo la parola magica, l’interrogativo a cui rispondere, la chiave con cui aprire tutte le porte del mondo. E della vita. Moto, quiete, velocità della luce, del suono, relatività..C’era realmente la possibilità di impazzire dentro a quel coacervo a tratti insostenibile di saperi, ipotesi, teorie; ma oramai ero ad un passo, lo sapevo, lo sentivo! Non andai a dormire quella notte. Mangiai qualcosa in fretta e furia e tornai subito al laboratorio. Che odore magnifico avevano quelle tre larghe stanze..profumo fragrante di ricerca, di sapere, di esperimenti, di tentativi..di scoperte! Ogni teoria ha necessariamente, logicamente, una parte, una dimensione pratica, sperimentale appunto. Dovevo solo dedurne il metodo. Del resto era quasi passato un secolo da quando Albert Einstein aveva ampiamente teorizzato la relatività e quella sorta di “curvatura temporale”, era ora che qualcuno colmasse la lacuna, riempisse il vuoto, completasse il puzzle, inserisse la tessera mancante..Costruisse una vera, reale e funzionante Macchina del Tempo! E lo avrei fatto io, io sarei per primo riuscito a compiere questo miracolo scientifico e religioso insieme; io sarei diventato l’unico protagonista di questo evento storico ed anacronistico contemporaneamente; io avrei sfidato e vinto il tempo, magari dopo averlo ammansito e domato come si fa con una bestia feroce e selvaggia, o come gli sciamani fanno con i temporali e con i terremoti. Accesi la mia piccola ma luminosa lampada da tavolo e guardai ancora una volta tutti i disegni, gli schemi, i numeri, gli appunti sparsi, le sottolineature.. Cosa mancava? Quale era il passaggio che continuava a sfuggirmi, a farmi inesorabilmente fallire? Dove era l’errore, se c’era veramente? Silenzio ossessionante di sveglie e d’orologi tutto intorno. Silenzio di ghiaccio. E su di me l’ombra soffocante e sempre più grande del dubbio vuoto e della speranza vana ed inutile. Poi d’un tratto un rumore alla finestra che mi fece trasalire e quasi spaventare; mi avvicinai lentamente, scostai la tenda, guardai fuori ed ebbi un sussulto non di timore, semmai di sorpresa. Un enorme aquilone colorato si era incastrato ad un minuscolo gancio arrugginito e sporgente sul lato destro del davanzale. Era bellissimo, sembrava dipinto a mano da un pittore fantastico ed ispirato! Non resistetti alla tentazione, aprii piano la finestra e lo sfiorai con le dita. Era pazzesco, incredibile a raccontarsi ma ero come ipnotizzato ed il mio incanto aumentava insieme allo stupore per ritrovarmi a provare una sensazione che credevo oramai perduta e sepolta dentro di me, nella mia mente e nella mia anima.. Mente, anima.. Mio Dio! Non potrò mai descrivere il senso di consapevolezza che mi pervase in quell’istante indimenticabile! Durò un attimo, ma a me sembrarono mille secoli. Ecco cosa avevo rischiato! Avevo lasciato che la mente andasse alla ricerca di domande e risposte da sola, senza anima! Avevo viaggiato la mia strada solo in orizzontale, mai in verticale! No, peggio, ad un certo punto avevo smesso di viaggiarla in verticale, di provare ad alzarmi, a volare! Perché c’era stato un tempo in cui l’avevo fatto, avevo seguito un aquilone nel sole e.. avevo volato! Ma come avevo potuto dimenticare, cancellare quel mio volo? Quando era successo? Quando avevo rinunciato a sentire per essere? A donarmi per avere? A crescere per vincere?
Quando, e perché? E a quale prezzo? Quando avevo smesso di parlare con Dio, per cominciare a parlare solo con me stesso? Quando avevo smesso di credere al mio progetto, al mio sogno di realizzare la Macchina del Tempo? Da molti mesi, probabilmente da anni. O forse da un minuto. Da quando quel mio aquilone si incastrò improvvisamente in una qualche finestra del mondo. Come se quella finestra fosse l’arrivo, la meta. Più reale ed importante di tutto il cielo viaggiato prima, e di tutto quello ancora da viaggiare. Fu terribile staccarlo da lì e vederlo scomparire in un momento fra le nuvole e la luna. Ma anche splendido osservare quella scena unica e surreale, pensando che oramai avrebbe potuto incastrarsi solo ad una stella. Richiusi delicatamente la finestra, lasciai distesi sul tavolo i miei appunti, spensi la lampada ed uscii. Mi fermai ancora un momento all’esterno del laboratorio per guardare il cielo notturno, immobile e silenzioso. Mi ricordai di quando ero bambino e mi parve di risentire la voce cara di mia madre.. “Sei ancora in piedi amore mio? Avanti, chiudi la luce e prova a dormire un po’ adesso, vedrai che in sogno troverai la formula giusta per la tua Macchina del Tempo..”. Sorrisi commosso e mi voltai d’istinto. Il laboratorio era scomparso. Mi trovavo sull’uscio di casa. Ma non la casa dei miei genitori.
Mi sorpresi sereno, voglioso e rinfrancato, benché molto stanco. Prima di sdraiarmi ridiedi un’occhiata alle canzoni, ai racconti, ai disegni ed alle poesie che avevo lasciato sulla mia scrivania, proprio sotto alla lampada. Poi la spensi e andai a letto. Provai ad immaginare dove si potesse trovare adesso quell’aquilone misterioso e colorato, a quale altezza, in quale altro spazio e tempo. Tempo, certo.. Eccola di nuovo la parola magica, l’interrogativo a cui rispondere, la chiave con cui aprire tutte le porte del mondo. E della vita. Moto, quiete, velocità della luce, del suono, relatività.. C’era realmente la possibilità di impazzire dentro a quel coacervo di saperi, ipotesi, teorie; ma oramai ero ad un passo, lo sapevo, lo sentivo! Mi addormentai e sognai di mia madre. E del mio volo.
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