Lo sguardo [di Andrea Bianco] | ||
| Alla fine si erano guardati, senza più nessuna ansia o vergogna. Vergogna per come erano cambiati, per come si erano allontanati nel tempo in silenzio, il silenzio dei vigliacchi e degli sconfitti. Di quelli che vanno incontro alla propria rovina, che non è la propria fine, già morti dentro chissà da quanto, già consapevoli di tutto quel male da mille anni e da mille vite. E lo nascondono l’uno all’altra non guardandosi mai in faccia, nemmeno per un attimo distratti, nemmeno per finta. Col tempo intrappolato come un povero fiore fiacco e reciso dentro ad una scatola di cartone, senza buchi, senza acqua per annegarsi e marcire, aria per volare e disperdersi, terra per sbriciolarsi e scomparire. O fuoco per far fumo e profumare intorno. Che anche all’inferno la verità e l’amore e la giustizia restano poesia. Lo avevano capito chiaramente, come un’illuminazione spontanea e divina, in quel momento, ognuno fermo per un infinito istante negli occhi dell’altro. Cosa avevano fatto a quel fiore! Non si poteva più rimediare, ripensare; non si poteva più fare niente, niente di niente. Aprire un ultima volta la scatoletta, piangerci, pregarci, finire. E non dimenticare. Mai.
Eppure c’era stato un tempo incontaminato e splendido in cui si erano amati, amati davvero. Erano stati giovani e ora non lo erano più. Questa, nuda, semplice e tragica era la verità. Nuda e semplice come ogni verità. Tragica come solo le verità d’amore sanno essere. Potevano vedere chiaramente anche questo nello sguardo intenso ed arreso che si stavano finalmente scambiando. Dieci anni della loro storia. Del loro amore. Della loro vita. Dieci anni dentro uno sguardo. Sembrava pazzesco, incredibile, ma era così. Lo sentivano, ognuno abbracciato stretto al suo infinito buco di dolore. Un buco nell’anima, in mezzo al cuore, al cervello, ai piedi e alle mani. Come avevano potuto non rendersi conto che era passato così tanto tempo, così tanti giorni da quell’altra vita? Come era stato possibile? E di chi era stata la colpa? Ad ogni domanda, incessante, senza tregua, insostenibile un’altra domanda. E mai nessuna risposta. Quanta tenerezza avevano dimenticato mano a mano, mentre tutto girava e gridava e danzava? Erano stati bene, lo ricordavano nitidamente, veramente… E oggi come stavano, come erano arrivati fino a qui? Fotografie, a colori e qualcuna anche in bianco e nero, potevano bastare a salvare un amore così… Il miracolo di un amore così? Non potevano. Era tardi. Quanto erotismo e passione avevano perso e ucciso nell’indifferenza, nell’abitudine, nel grigiore dei propri pensieri addormentati, indolenti, rassegnati alla fine, al niente, alla morte cattiva e senza resurrezione. Senza pietà. C’era stato un tempo nel quale per quello stesso sguardo avrebbero affrontato il vento e il fuoco e la paura. Perché non avevano paura.
Perché c’erano. Erano lì, uno per l’altra, sempre e comunque. Perché così è un amore vero, indistruttibile. Lo sapevano perché erano stati così. Veri e indistruttibili. Ma la gioventù prima o poi finisce e bisogna guardarsi in faccia. E trovare il coraggio d'invecchiare insieme, fra le rughe degli occhi e quelle dell'anima. Dove trovare ogni giorno la forza di resistere alle delusioni, ai tradimenti, ai dolori, alle difficoltà. Cadere e rialzarsi ogni volta, nonostante tutto e tutti, in due. Ma di amori così ce ne sono così pochi al mondo... amori troppo forti da resistere anche al ghigno sadico degli anni che corrono e ti lasciano indietro a sbuffare e piangere e rimpiangere ed imprecare. E loro ad un certo punto si erano arresi, avevano solo smesso di correre insieme. Di essere in due.
A vederlo oggi, da qui, quel loro amore pareva comunque ancora immenso, grandissimo come una volta era stato davvero. Era come guardare il mare da sopra una collina e coglierne l’essenza infinita, misteriosa, eterna. Ma senza potersi più tuffare e bagnare dentro a quel mare. Mai più.
AND | ||
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